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appoggio del piede corsa

Appoggio del piede nella corsa – 3 consigli utili

L’appoggio del piede – consigli utili per rendere efficace ed economico il gesto della corsa.

Vincere la gravità: da quadrupedi a bipedi

Vincere la forza di gravità è sempre stata una delle aspirazioni dell’uomo. In parte è riuscito nel suo intento, staccando da terra gli arti che da “anteriori” sono diventati “superiori”. Assumere la posizione eretta è, di certo, scomodo ed antieconomico, ma ha consentito la differenziazione anatomica e funzionale tra mani e piedi, primo gradino verso lo sviluppo delle facoltà intellettive superiori e del pensiero astratto (homo erectus, habilis, faber). Il piede, così, diventa l’unico punto di contatto con la superficie terrestre e assume su di sé tutto il “carico” del movimento umano. Con una base d’appoggio del piede così stretta, è veramente difficile mantenersi in equilibrio. È possibile per effetto dell’enorme quantità di informazioni che il piede invia al sistema nervoso centrale. Quest’ultimo, a sua volta, elabora i segnali e programma una risposta muscolare ritenuta adeguata.

Instabilità, equilibrio e dinamicità

Se governare il sistema in forma statica è già tanto macchinoso, si pensi allo stadio di complessità che si raggiunge in tutte le situazioni dinamiche. Il centro di massa del quadrupede cade sempre, abbondantemente, all’interno della base d’appoggio. Non ha problemi di equilibrio e, per muoversi, coordina i movimenti degli arti posteriori con quelli anteriori. L’uomo (bipede) ha escogitato un sistema geniale: utilizza il peso del corpo come volano per avviare un movimento, per accelerare/decelerare o cambiare direzione; procura, volontariamente, instabilità d’equilibrio che compensa con un rapido movimento degli arti inferiori, automaticamente attivati per evitare di cadere per terra.

La corsa: una successione di balzi

Jacobs-appoggio-del-piede
credits: https://www.raisport.rai.it/

Sappiamo tutti che durante la corsa si alterna la fase d’appoggio (su un solo arto) a quella di volo, tanto che i testi ginnastici definiscono la corsa come una “successione di balzi”. A sua volta, la fase d’appoggio del piede prevede il momento di presa di contatto col suolo (frenata – contrazione eccentrica) e la successiva spinta (accelerazione – contrazione concentrica).  Per correre i 100 metri in 10” si è costretti a mulinare le gambe ad una frequenza di circa 5 cicli al secondo. Jacobs nella finale olimpica ha toccato il picco di velocità a 43,3 km/h mentre Bolt, nella prova del record del mondo, ha raggiunto i 44,12 km/h con un rapporto tra frequenza e ampiezza di 4,8 Hz e 2,76 metri. Si è al limite delle possibilità umane e rimane poco spazio all’inventiva: superata la fase di accelerazione, l’atleta ricerca un rapido contatto dell’avampiede che, senza per nulla flettersi, si predispone a invertire istantaneamente il senso del movimento.

La velocità di corsa nelle distanze del mezzofondo e fondo è frazione della massima esprimibile dall’atleta che, così, ha più libertà nel ricercare ed adattare la tecnica alle proprie caratteristiche. Purtroppo però, l’allenamento protratto a velocità eccessivamente bassa, associato all’uso di scarpe iperprotettive, può indurre un adattamento nell’appoggio del piede, economico sui ritmi lenti, ma assolutamente inadatto a sostenere le velocità di gara.

Pensare…con i piedi!

Per intervenire, consapevolmente, sul modo di correre è necessario imparare a percepire i segnali provenienti dai recettori sensoriali. La maggior parte delle informazioni, durante la corsa, rimangono fuori dalla “coscienza” dell’atleta, la cui attenzione è sempre posta sui tempi di percorrenza, sui chilometri rimasti, sulla fatica che aumenta. Prestare ascolto alle informazioni che il piede trasmette e riuscire a decifrarne correttamente i codici, è il primo step per intervenire sull’esecuzione del gesto e migliorare il rendimento meccanico alle diverse velocità di corsa.

Consigli utili per rendere efficace ed economico il gesto della corsa.

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Gli obiettivi da perseguire, per rendere efficace il gesto, fondamentalmente sono tre:

Ridurre al minimo la fase negativa (frenata).

L’impatto del piede a terra produce, inevitabilmente, una frenata del sistema che riacquista velocità solo quando il bacino supera la verticale sul punto d’appoggio e il piede può riprendere a spingere. Le variazioni di velocità ad ogni passo producono un’enorme dispersione di energia. Il suggerimento è di portare il piede subito a terra, senza cercare di trovare spazio in avanti: il vecchio proverbio di “non fare il passo più lungo della gamba” rende perfettamente l’idea. Per il principio d’inerzia, si può correre forte, a lungo e con poca spesa energetica.

Diminuire le oscillazioni verticali durante l’avanzamento.

In fase di spinta il sistema si “apre” (durante il caricamento si comprime) in direzione avanti-alto. Il centro di gravità descrive una parabola con un punto alto in piena fase di volo. Appiattire la componente verticale (antigravitaria) a vantaggio di quella orizzontale, consente di risparmiare energia totale.

Riutilizzare l’energia

Riutilizzare l’energia accumulata negli elementi elastici dell’arto inferiore. Ossa, legamenti, tendini e, soprattutto, muscoli sono costituiti da elementi in grado di restituire energia. Se gli angoli e i tempi di lavoro sono quelli giusti, è possibile recuperare sino al 40% dell’energia persa al momento dell’impatto. Senza alcun consumo di ATP.

La scelta della soluzione per rendere efficace ed economico il gesto della corsa, si configura paradossale: per “caricare gli elastici” e stimolare il riflesso da stiramento, è necessario accumulare energia all’interno del muscolo in fase di frenata. Tale scelta, però, comporta una diminuzione dell’inerzia e un’attivazione maggiore di unità motorie. Al contrario, una fase di volo meno accentuata riduce l’oscillazione verticale del centro di massa (risparmio di energia) ma, come già accennato, riduce la quantità di moto all’impatto e, di conseguenza, l’accumulo di energia nella struttura elastica dell’arto inferiore.

Un compromesso possibile

L’abilità del corridore risiede nel trovare il giusto compromesso tra le caratteristiche in suo possesso, utilizzando il potenziale motorio di cui dispone col miglior rendimento possibile.

Un capitolo a parte meriterebbero le nuove calzature ad alto rendimento che, indubbiamente, non sono estranee alle strabilianti prestazioni dei Giochi di Tokyo. In ogni caso cambiare il modo di correre non è semplice. Bisogna intervenire volontariamente (con enorme dispersione di energia) su uno schema motorio consolidato, automatizzato (con poco consumo di energia). “Pensare” al come si sta correndo, rappresenta un ulteriore aggravio di fatica che mal si concilia con la percezione del corridore che, per questo, difficilmente accetta di destrutturare la propria impostazione. Rimanendo vincolato ai limiti di sempre.

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Scritto da Piero_incalza / Author il Ago 06, 2021

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